Quarta Domenica di Avvento
GIUSEPPE
Segno della domenica: La porta
“Aiutami a mettere questa porta sul bancone. Solleviamola.
Uno, due e… tre. Bene. Grazie figliolo.”
“ Prego. Papà, perché mi hai chiamato Gesù?”
“Perché è un bel nome. Passami la sega, per favore.”
“Però, papà, alla scuola della sinagoga siamo in cinque a chiamarci Gesù. Quale sega vuoi?”
“Quella corta. Sì, qui a Nazaret tanti papà hanno dato questo nome al loro figlio in onore del grande Giosuè che ci ha guidati nella terra promessa. Che Dio lo benedica.
Passami la pialla, per favore.”
“Quindi anche tu mi hai dato questo nome per ricordare Giosuè? Ecco la pialla.”
“Te l’ho dato perché questo nome significa ‘salvatore’.
Ora tieni la porta che prendo la colla.”
“Allora io mi chiamo Salvatore! Che bel nome mi hai dato!”
“Te l’ha dato Dio! Che sia benedetto. È stato lui a suggerirmelo.
Tieni forte, così stringo il morsetto.”
“Mi piace questo nome così posso salvare qualcuno.”
“Ma…, dove vai?”
“Vado a salvare qualcuno! Ciao papà.”
TUMMM. PATATRAC!
“La porta! Gesuuuuuù!”
E la porta, che Giuseppe stava riparando, cade a terra.
Giuseppe, il falegname, era il papà di Gesù, e, come tutti i papà, voleva bene al suo bambino; durante le passeggiate gli mostrava tante cose, soprattutto le più piccole, più difficili da vedere, come le coccinelle o i chicchi di grano nascosti nella terra; stava seduto sul tappeto con suo figlio per aiutarlo a fare i compiti e scrivere; in bottega gli insegnava a prendere le misure per tagliare o fare i buchi nel legno con precisione. Gli regalava giocattoli di legno fatti con le sue mani esperte e la sera gli raccontava una storia prima di dormire; a volte lo portava con sé a fare le consegne. E una di quelle volte…
“Forza Gesù, sali sul carro! Si parte!”
“Eccomi papà. Dove portiamo questa porta?”
“A Cana. È la porta di casa di una delle case del paese.
Si era rotta.”
Arrivati a Cana, Giuseppe e Gesù giungono davanti alla casa di Efraim.
“Shalom Giuseppe. È Dio che ti manda, che sia benedetto.”
“E benedetta sia la tua casa, Efraim. Ora io e mio figlio rimetteremo la porta al suo posto.”
“Grazie. Abbiamo avuto tanto disagio in questi giorni con il vento che ha soffiato e la sabbia che è entrata in casa; avevamo proprio bisogno della nostra porta. Però…”
“Però?”
“Ecco… Oh buon Giuseppe, non so come dirlo, ma non ho possibilità di pagare il tuo lavoro.”
“Ma sì, non preoccuparti. Non voglio per forza denaro; puoi darmi dell’olio o del grano.”
“Sì, tu sei buono Giuseppe; ma purtroppo neanche olio o grano posso dare in questo momento. Le olive sono state colpite dalla mosca e la grande pioggia ha marcito il raccolto di grano; quindi…”
“Efraim, cosa dice Dio per bocca del profeta?
‘Ecco, io sono la porta della città.
Per me entrano tutti i popoli.
Grandi e piccoli come tanti ciottoli.
Nelle mie mura sarete sicuri.
Come una mamma di noi ti curi.
Io sono la porta dell’ovile.
Le mie pecore riposano tranquille.
Per me entrano le grasse, le figlie,
le mamme, le vecchie e gli agnellini.
Per me escono dai confini.
Ecco, io sono la porta di casa.
Per me si entra nel focolare.
E se un giorno con volo alare, angeli bussano a pugni pieni, è certo Dio coi suoi messaggeri’.
Quindi non posso lasciare la tua casa senza porta.”